martedì 16 maggio 2023

Ostacolo

Quando si progetta una fuga, Thule ne era conscio, non sempre si riesce a tenere in considerazione ogni possibile ostacolo. Nel suo caso, l'occasione di poter uscire indisturbato dal villaggio non gli aveva concesso il tempo di studiare un percorso. Aveva deciso senza troppo preavviso, aveva imboccato il bosco, e si era incamminato in linea retta verso il punto di raccolta. La convinzione, errata, che tra i due luoghi ci fosse solo un muro intricato di vegetazione, si infranse quando i suoi piedi si dovettero fermare di fronte a un dirupo.

I suoi occhi esterrefatti fissarono quel salto nel vuoto come se fosse apparso dal nulla. Ma la natura aveva fornito tutti gli indizi possibili, e lui li aveva ignorati ingenuamente.

Quando le piante si diradarono e il terreno si fece meno intricato, Thule cominciò ad allungare il passo, a trottare, se non correre, verso la speranza. Aveva creduto di aver finalmente superato la barriera che divideva il suo passato dal tanto agognato futuro.

Riuscì a evitare di cadere nel baratro solo grazie a Sophova, che invece era perfettamente conscia di quanto stesse per accadere.

"E ora?", chiese alla creatura che non aveva più abbandonato la sua spalla dal momento in cui si erano incontrati.

"Bisogna scendere e risalire".

"Non ci sono alternative?".

La risposta negativa gli giunse con uno sbuffo di sconforto. Thule si avvicinò al bordo con cautela e guardò di sotto. Venti, forse venticinque metri di parete verticale, poi una sorta di canyon tagliato da un corso d'acqua appena accennato, e di nuovo una arrampicata di altri venti metri.

"Ce la puoi fare".

Thule annuì poco convinto. Si calò lentamente cercando un appoggio col piede destro. Quando si sentì sicuro, cercò un secondo appoggio per il sinistro, e un appiglio per le mani. 

Scese di qualche metro e si fermò a prendere fiato. I muscoli degli avambracci tremavano per lo sforzo. La fronte imperlata di sudore gli rendeva difficoltosa la vista. Sophova lo osservava dalla spalla, sicura che il proprio peso non potesse fare grande differenza per il compagno di viaggio.

Continuò a scendere. Appoggio dopo appoggio, appiglio dopo appiglio, la discesa non fu lunga quanto ci si sarebbe aspettati, e sul fondo, le acque fresche del torrente potevano dare un poco di refrigerio, sia a Thule, sia a Sophova.

Thule non poteva astenersi dal dovere di riprendere il cammino. Avrebbe voluto riposare, ma era consapevole che il tempo a sua disposizione non era infinito, e soprattutto, che se si fosse adagiato per recuperare le forze, sarebbe caduto in un dormiveglia pericoloso.
Osservò la parete che doveva risalire. Alcune radici uscivano dal terreno, non vi erano molte sporgenze su cui fare grande affidamento, e neppure riusciva a intravvedere un buon punto da cui cominciare ad inerpicarsi.

Seguì la parete per qualche decina di metri, affiancando il torrente, e si decise a guadare il piccolo corso d'acqua. Sull'altra sponda vide un buon appiglio. Lo afferrò con decisione e si issò per vagliarne la robustezza. Poi appoggiò la punta dei piedi alla parete, cercando di scavare col proprio piede una piccola fessura su cui scaricare il peso.

Si issò per qualche metro, attese, prese un respiro profondo, e individuò un altro punto comodo per proseguire. Qualche metro avanti e dovette arrestarsi di nuovo. Le braccia erano diventate insensibili. E i piedi gli dolevano per lo sforzo di dover sostenere tutto il suo peso con la sola punta delle dita.

"Forza!", lo incitò Sophova "Non manca molto".

Thule annuì, e quasi perse la presa. Scivolò di qualche centimetro. Un sasso affilato tagliò superficialmente l'avambraccio destro. Non poté evitare di lasciar sfuggire un grugnito di frustrazione. Strinse le dita su un unico appiglio e si issò fino a raggiungere un nuovo punto di equilibrio. Attese. Del terriccio cadeva dal bordo sopra di lui. Poteva essere il vento. Poteva essere un animale. Poteva essere qualche altro fuggiasco. Poteva essere la sua stessa fantasia a creare fantasmi, pericoli, o un qualsiasi altro motivo per convincere la sua volontà a cedere e ridiscendere al torrente.

Riprese la salita quanto tutto gli parve calmo e silenzioso. Con determinazione, tra una radice e uno spuntone di roccia, riuscì ad aggrappare il bordo superiore. Shopova saltò giù dalle sue spalle e si adagiò sul bordo del dirupo "Ce l'hai fatta", disse.

Thule grugnì nuovamente per lo sforzo. Doveva ancora uscirne, da quel dirupo. 

Si issò con le ultime energie che scorrevano nelle vene, gridò per il dolore provocato dai muscoli, e riuscì a piegarsi col ventre a terra. Fece scivolare le gambe di lato. Sbuffò e chiuse gli occhi. Vide Getha che gli sorrideva. Vide Chora che lo osservava nascondendo lo sguardo tra le dita delle mani. Si rotolò col ventre rivolto al cielo e, per la prima volta dalla sua partenza, sorrise.


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