sabato 20 maggio 2023

In Trappola

Le prime luci dell'alba comparvero tra le fronde e portarono Thule in uno stato d'ansia che fino a quel momento non aveva ancora provato. Era convinto di poter giungere all'appuntamento senza troppi problemi, di attraversare velocemente la foresta, di non incontrare ostacoli, ma l'arrivo delle prime luci avevano fatto crollare tutte le sue certezze.

Prese a correre. Sophova si aggrappò con forza alle sue spalle. I suoi pensieri erano confusi, quasi allarmati. Stava accadendo qualcosa che non riusciva a comprendere, e la sensazione di pericolo era sempre più incombente. A nulla però servirono i suoi avvertimenti tra i pensieri di Thule, ormai colto dal panico.

La corsa non durò a lungo. Tutto accadde senza preavviso. Un rumore secco. Uno strattone violento. Il mondo intero che ruotava attorno al corpo ancora intento a correre. Un forte senso di smarrimento. La perdita di equilibrio. La vista annebbiata, e all'improvviso, la consapevolezza di essere finito in trappola e preda di uno stordimento che fece perdere i sensi a Thule, e alla sua compagna.

Il fuggiasco riprese coscienza quando il sangue alla testa comincio a provocargli forti dolori. Era avvolto in una rete, appeso per i piedi, e circondato da bracconieri.

«Guarda cosa abbiamo pescato oggi!» Esclamò una voce profonda. Un oggetto contundente giocò con il corpo di Thule facendolo ondeggiare delicatamente. Il più alto del gruppo osservava Thule con volto incredulo. Indossava abiti robusti, per quanto logori, e impugnava un fucile di precisione a energia cinetica «Il nostro bottino sembra doppio,» indicò Sophova ai compagni «Con quella femmina potremmo farci bei soldi.»

Gli altri membri del gruppo di bracconieri risero di gusto «Cosa ne facciamo dello schiavo?» chiese il più basso del gruppo, forse più curato nel vestire, ma tarchiato, e con una barba incolta che lo torturava con un prurito continuo, forse perché abitata da parassiti.

«Se non ci sono taglie,» rispose quello che sembrava comandare sugl'altri, altezza media, armato con un dispositivo a energia, con gli occhi coperti da un visore digitale «potremo comunque venderlo al mercato.» valutò attentamente «Avete visto che avambracci? Mi sembra in forma... Di sicuro frutterà bene!».

Thule era caduto dalla padella nella brace. Avrebbe dovuto fare maggiore attenzione. Avrebbe dovuto ascoltare la propria compagna di viaggio. Grugnì di disperazione quando si rese conto di non potersi liberare con la sola forza bruta. Sophova gli comunicò solidarietà per quanto fosse contrariata dalla situazione. Poteva divincolarsi facilmente tra le maglie della rete, ma non se la sentiva di abbandonare il compagno.

«Vediamo di tirarli giù da quel ramo...» suggerì il bracconiere più basso.

«Aspetta!» disse quello più alto «Come facciamo a portarli fino in città? Non possiamo certo liberare quello lì. Grosso com'è, potrebbe creare dei problemi...».

«Potremmo farlo fuori e venderne le carni al macello... Sarebbe più facile...» rise malignamente il più basso.

Thule rabbrividì "Fuggi, tu che puoi" suggerì alla compagna "Non ha senso che ti sacrifichi per me...". Sophova si strinse a lui "No, non lo farei mai... E poi, sento che sta per succedere qualcosa!".

Mentre i bracconieri discutevano su come gestire il bottino, un rumore sordo esplose improvvisamente sopra le loro teste. Un faro abbacinante illuminò la scena come fosse giorno fatto, e l'ombra di un velivolo affilato si arrestò a mezz'aria per interrompere quanto stava accadendo. Una voce metallica esplose disturbando il silenzio irreale della foresta. Era una navicella della sicurezza planetaria. Avevano identificato le tracce dei bracconieri durante il loro attraversamento del bosco, e li avevano colti sul fatto mentre raccoglievano il frutto delle loro trappole.

«Lasciate cadere le armi a terra!» Intimò la voce proveniente dal velivolo «Preparatevi per una ispezione.»

I bracconieri non se lo fecero dire due volte. Il più alto esplose un paio di colpi verso la nave e fuggì tra le fronde del bosco. Il piccoletto imitò il compagno, prendendo però una direzione differente. Il terzo grugnì tra i denti una bestemmia e si dileguò a sua volta.

La nave ruotò su sé stessa per osservare la fuga dei bracconieri. Sembrò valutare le opzioni, ma alla fine decise di atterrare non molto distante da dove Thule era stato catturato.

"E' finita!" disse alla sua compagna "Mi riporteranno al villaggio. Verrò punito. La mia famiglia verrà punita..."

"Non è ancora detto" rispose la creatura accarezzando il volto dell'uomo "Stiamo a vedere cosa accade".

martedì 16 maggio 2023

Ostacolo

Quando si progetta una fuga, Thule ne era conscio, non sempre si riesce a tenere in considerazione ogni possibile ostacolo. Nel suo caso, l'occasione di poter uscire indisturbato dal villaggio non gli aveva concesso il tempo di studiare un percorso. Aveva deciso senza troppo preavviso, aveva imboccato il bosco, e si era incamminato in linea retta verso il punto di raccolta. La convinzione, errata, che tra i due luoghi ci fosse solo un muro intricato di vegetazione, si infranse quando i suoi piedi si dovettero fermare di fronte a un dirupo.

I suoi occhi esterrefatti fissarono quel salto nel vuoto come se fosse apparso dal nulla. Ma la natura aveva fornito tutti gli indizi possibili, e lui li aveva ignorati ingenuamente.

Quando le piante si diradarono e il terreno si fece meno intricato, Thule cominciò ad allungare il passo, a trottare, se non correre, verso la speranza. Aveva creduto di aver finalmente superato la barriera che divideva il suo passato dal tanto agognato futuro.

Riuscì a evitare di cadere nel baratro solo grazie a Sophova, che invece era perfettamente conscia di quanto stesse per accadere.

"E ora?", chiese alla creatura che non aveva più abbandonato la sua spalla dal momento in cui si erano incontrati.

"Bisogna scendere e risalire".

"Non ci sono alternative?".

La risposta negativa gli giunse con uno sbuffo di sconforto. Thule si avvicinò al bordo con cautela e guardò di sotto. Venti, forse venticinque metri di parete verticale, poi una sorta di canyon tagliato da un corso d'acqua appena accennato, e di nuovo una arrampicata di altri venti metri.

"Ce la puoi fare".

Thule annuì poco convinto. Si calò lentamente cercando un appoggio col piede destro. Quando si sentì sicuro, cercò un secondo appoggio per il sinistro, e un appiglio per le mani. 

Scese di qualche metro e si fermò a prendere fiato. I muscoli degli avambracci tremavano per lo sforzo. La fronte imperlata di sudore gli rendeva difficoltosa la vista. Sophova lo osservava dalla spalla, sicura che il proprio peso non potesse fare grande differenza per il compagno di viaggio.

Continuò a scendere. Appoggio dopo appoggio, appiglio dopo appiglio, la discesa non fu lunga quanto ci si sarebbe aspettati, e sul fondo, le acque fresche del torrente potevano dare un poco di refrigerio, sia a Thule, sia a Sophova.

Thule non poteva astenersi dal dovere di riprendere il cammino. Avrebbe voluto riposare, ma era consapevole che il tempo a sua disposizione non era infinito, e soprattutto, che se si fosse adagiato per recuperare le forze, sarebbe caduto in un dormiveglia pericoloso.
Osservò la parete che doveva risalire. Alcune radici uscivano dal terreno, non vi erano molte sporgenze su cui fare grande affidamento, e neppure riusciva a intravvedere un buon punto da cui cominciare ad inerpicarsi.

Seguì la parete per qualche decina di metri, affiancando il torrente, e si decise a guadare il piccolo corso d'acqua. Sull'altra sponda vide un buon appiglio. Lo afferrò con decisione e si issò per vagliarne la robustezza. Poi appoggiò la punta dei piedi alla parete, cercando di scavare col proprio piede una piccola fessura su cui scaricare il peso.

Si issò per qualche metro, attese, prese un respiro profondo, e individuò un altro punto comodo per proseguire. Qualche metro avanti e dovette arrestarsi di nuovo. Le braccia erano diventate insensibili. E i piedi gli dolevano per lo sforzo di dover sostenere tutto il suo peso con la sola punta delle dita.

"Forza!", lo incitò Sophova "Non manca molto".

Thule annuì, e quasi perse la presa. Scivolò di qualche centimetro. Un sasso affilato tagliò superficialmente l'avambraccio destro. Non poté evitare di lasciar sfuggire un grugnito di frustrazione. Strinse le dita su un unico appiglio e si issò fino a raggiungere un nuovo punto di equilibrio. Attese. Del terriccio cadeva dal bordo sopra di lui. Poteva essere il vento. Poteva essere un animale. Poteva essere qualche altro fuggiasco. Poteva essere la sua stessa fantasia a creare fantasmi, pericoli, o un qualsiasi altro motivo per convincere la sua volontà a cedere e ridiscendere al torrente.

Riprese la salita quanto tutto gli parve calmo e silenzioso. Con determinazione, tra una radice e uno spuntone di roccia, riuscì ad aggrappare il bordo superiore. Shopova saltò giù dalle sue spalle e si adagiò sul bordo del dirupo "Ce l'hai fatta", disse.

Thule grugnì nuovamente per lo sforzo. Doveva ancora uscirne, da quel dirupo. 

Si issò con le ultime energie che scorrevano nelle vene, gridò per il dolore provocato dai muscoli, e riuscì a piegarsi col ventre a terra. Fece scivolare le gambe di lato. Sbuffò e chiuse gli occhi. Vide Getha che gli sorrideva. Vide Chora che lo osservava nascondendo lo sguardo tra le dita delle mani. Si rotolò col ventre rivolto al cielo e, per la prima volta dalla sua partenza, sorrise.


venerdì 12 maggio 2023

Compagna di Viaggio

Quanto tempo era trascorso dall'ultima occasione in cui aveva rivolto lo sguardo a Ghana? Si trovava ancora sul giusto tracciato? I dubbi attanagliavano Thule mentre si apriva l'ennesimo passaggio tra le piante. La sensazione di essere seguito non lo abbandonava neppure lottando strenuamente contro il proprio istinto di conservazione. Quel luogo era estraniante, alieno, troppo diverso da ciò a cui era abituato, e trascorrervi l'intera notte, o addirittura più notti, non lo allettava proprio.

I pensieri attanagliavano l'attenzione del fuggiasco come un abbraccio soffocante, gli occhi ormai fissavano un traguardo immaginario, il corpo obbediva di riflesso, solo il traguardo era focalizzato nella sua mente, tant'è che non si accorse del sorgere si Sopha se non quando il tenue bagliore di Ghana fu soffocato dall'astro appena comparso.

Thule trasalì quando capì di non avere più una guida certa. Arrestò il proprio passo e si mise in attesa di un suggerimento. Doveva raggiungere il punto di ritrovo, assolutamente, o la sua fuga sarebbe stata completamente inutile. 

Fu in quel momento di panico che si accorse di essere osservato, di non essere solo tra il folto delle piante. Si volse di scatto. Due occhi gialli lo fissavano tra il fogliame. Un rumore sommesso. La consapevolezza improvvisa che il lavoro dei bracconieri non era stato poi così certosino come essi stessi assicuravano nelle taverne, facendo tintinnare le loro bisacce ricolme di crediti.

La creatura avanzò cautamente, scivolando tra il fogliame, i rami, e le radici, come se il proprio corpo fosse un fluido capace di adattarsi agli spazi disponibili, e di evitare il contatto con ogni tipo di ostacolo. Il manto cessò di essere indistinguibile, mutò delicatamente verso il suo colore naturale, sempre che ne avesse uno. Oro punteggiato di macchie catramate. Un campo di grano punteggiato di arbusti silvestri. Quando la mutazione fu completa, l'essere si mise in attesa sulle sue sei zampe. Quattro di esse lo sostenevano, una era impegnata a pulire la dentatura color avorio da una qualche scoria. L'ultima era sospesa a mezz'aria, come indecisa sul da farsi.

Non pareva aggressiva, piuttosto trasmetteva curiosità, per lo meno questa era la sensazione di Thule, che istintivamente si chinò per portare il proprio sguardo al livello della creatura. Seppur intimorito dalla situazione, l'incontro non richiamava un senso di allarme imminente. Per certi versi, si stupì di essere attratto verso quella creatura, così allungò le mani verso di essa, lentamente, delicatamente.

Il primo passo spettò all'animale. Si mosse sinuoso, lento ma non guardingo, e neppure aggressivo. Si stava formando una sorta di legame di fiducia. 

Sopha osservava dall'alto il primo contatto, illuminava quell'angusto spazio apertosi nella foresta per donare la giusta enfasi all'evento imprevisto.

L'animale fece un balzo e agilmente si aggrappò all'avambraccio destro di Thule. Prima che egli potesse fare alcunché, salì agilmente fino alla spalla, e lì si adagiò comodamente. Il pelo morbido, profumato di natura selvaggia, a contatto con la pelle intirizzita del fuggiasco, agì come una carezza rassicurante. Il gesto amichevole fu siglato da un ulteriore avvicinamento, il capo della creatura toccò quello del fuggiasco, chiuse gli occhi, emise un suono delicato e armonico.

Thule stupito di quanto stava accadendo, ma ancora di più dalla sua propensione ad accettare la situazione surreale in cui si trovava, si domandò cosa volesse l'animale da lui. Non sapeva neppure a quale specie appartenesse, ma era consapevole che presto le sue lacune si sarebbero colmate.

Un pensiero improvviso avvolse la sua mente. Amicizia, affetto, fiducia, e un messaggio chiaro quanto le acque del ruscello che scorreva a valle del suo villaggio.

"Ti guiderò io verso il luogo a cui sei destinato."

La creatura era dunque dotata di capacità mentali, era intelligente, ed era lì per lui.

"Come ti devo chiamare?" chiese senza proferire parola.

Lo sguardo della creatura si volse alla nuova luna nascente. In quell'istante capì che era una femmina.

"Sophova", suggerì.

Un senso di piacere lo avvolse con calore. Thule capì di non essere più solo nella sua folle impresa. Annuì debolmente, e riprese il proprio cammino, dando un ultimo saluto alla piccola Ghana, che forse non avrebbe mai più rivisto.